domenica 7 agosto 2016

Gli insegnanti del sud parlano italiano

Ne succedono di cose. 
Succede che la riforma della scuola non piace alla scuola. La risposta? Non la sapete leggere, la nostra riforma, siete i soliti privilegiati, ora ve la faranno vedere, fannulloni... e altre amenità.
Succede che ci costringono a scegliere fra una domanda di assunzione nazionale, al buio, che neanche nei migliori casinò. E succede che c'è anche chi non la fa, questa domanda. Perché questi docenti, sempre loro, i fannulloni, gli ignoranti, gli impreparati, i privilegiati, sono quelli che molto spesso il loro viaggio di lavoro se lo sono già sobbarcato, sono quelli che nelle città del nord ci hanno lasciato il cuore, ci hanno già speso la loro professionalità e la loro energia. E ora che si fa? Si rischia di ripartire di nuovo, ora che a sud si credeva di essere tornati e si era pure deciso (che impudenti) di metterci qualche radice. 
Ma chi lavora nella scuola, forse perché ha a che fare con i più giovani, è dotato di flessibilità mentale, capacità adattive, inesauribile progettualità. E quindi c'è chi ha pure accettato di andarsene, di nuovo. Mentre chi ha deciso di rimanere si è adattato, a sua volta, all'idea di continuare a patire una sorte incerta e precaria. 
Ma tutti, proprio tutti, non hanno perso di vista l'obiettivo, che non è un mero posto di lavoro, ma è una cattedra che ti mette a confronto con gli studenti, con la società, con te stesso. Ci vuole tanta professionalità, e pure tanta pazienza.
Fino al punto che di questa pazienza si abusa oltre il limite consentito. Il momento più basso della storia della pubblica istruzione è molto probabilmente proprio questo.
Corre come una furia cieca l'applicazione della legge 107 (chiamarla Buona Scuola è un'offesa alla nostra intelligenza), senza tener conto dell'accumularsi e sovrapporsi di incombenze e scadenze; vanno avanti provvedimenti cruciali come la chiamata diretta (che meriterebbero ben altra profondità di riflessione e condivisione); sono ancora enormi le incertezze dei docenti in GAE, del personale ATA che aspetta da un anno l'assunzione, dei Dirigenti e delle segreterie che si trovano a gestire procedure nuove, complesse, contraddittorie. E, intanto, viene realizzata la più approssimativa procedura di mobilità che si sia mai vista. Un errore informatico compromette l'assegnazione delle sedi in cui i docenti dovranno insegnare per almeno 3 anni. Pertanto, mentre a Bari (la prima provincia che hai scelto), magari, rimangono cattedre vuote, tu ti vedi assegnare un posto in Veneto. E mentre chi è più in alto in graduatoria è costretto ad andare a 1000 Km di distanza, un suo collega con punteggio inferiore ottiene un posto nel suo quartiere. 
Come risponde il Ministero? In un modo paradossale. 

Va tutto bene, forse c'è qualche piccolo errore (perché, si sa, i sistemi informatici soffrono di stanchezza quando devono trattare troppi dati...) e, forse, possiamo tentare di correggerlo. 
Noi riteniamo di non poterci accontentare delle toppe, perché la falla è ormai troppo grossa. Ma, intanto, consigliamo gli interessati di produrre istanza di conciliazione per tentare di ripristinare le regole (qui il modello) e, soprattutto, chiediamo a tutti i colleghi di mantenere la capacità di analisi, di non perdere la lucidità, di dimostrare ai rondolini di turno che non solo sappiamo parlare italiano, ma capiamo molto bene le dinamiche di cui siamo vittime. Non cediamo al tutti contro tutti, non cadiamo nella tentazione di continuare a dividerci. Gli interessi dei docenti in mobilità nazionale non confliggono con quelli degli insegnanti in GAE, le seconde fasce non sono contrapposte alle terze. E' la legge 107 ad essere contrapposta alla scuola. E allora manteniamo la barra dritta, chiediamo sempre e comunque il rispetto delle regole, perché dividerci in fronti conviene ai professionisti dei ricorsi e alle sirene della mala politica. Non ci resta che rimanere uniti, e forse è già un enorme risultato. 

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